Storia di un’eruzione provvidenziale
Mai l’estremo nord era stato così al centro del mondo. Già da qualche anno l’Islanda faceva notizia per la catastrofe finanziaria che aveva travolto banche e risparmi.
Ma il 20 marzo del 2010, anche la natura sembra prendere di mira quest’isola in disparte e apparentemente tanto sfortunata: un epocale rigurgito vulcanico conquista nuovamente la ribalta di testate e dei tg di tutto il pianeta. Un paese, su cui già incombe la nuvola nera della crisi, viene oscurato dall’incedere delle ceneri laviche, fuoriuscite dal cratere dell’Eyjafjallajökull che raggiungono gli strati più alti dei cieli europei.
Come dalle trame irate di una saga norrena, le divinità del Valhalla mettevano a dura prova gli umani, a cominciare dai giornalisti di tutto il mondo che si esibiscono nell’inutile tentativo di pronunciare un nome beffardo e altrettanto indomabile: Eyja che vuol dire isole; fjalla che sta per montagne e e jökull che significa ghiacciaio.
Una geniale campagna pubblicitaria concepita dalla natura: l’Eyjafjallajökull non si placa, anzi provoca il momentaneo blocco del traffico aereo su una ventina di nazioni. La cenere vulcanica potrebbe compromettere il funzionamento delle turbine dei jet di linea, come già era accaduto nel 1982 a un Boeing della British Airways sopra l’Indonesia.
A questo punto il clamore raggiunge livelli massimi, ponendo al centro della narrazione, oltre all’inesorabile vulcano, gli spostamenti in traghetto di troupe televisive e turisti.
Una luce diversa incombe sull’Islanda: non più solo paese in crisi, rappresentato da luoghi comuni quali i geyser, la luce estiva tutto il giorno o personaggi eclettici come Bjork o la band dei Sigur Rós, ma bensì una terra dove l’elemento naturale è preponderante, una meta insolita e da visitare.
Proprio in quei mesi aumentano le prenotazioni, favorite dai prezzi bassi dovuti alla svalutazione. Una grande occasione per tanti islandesi, sopraffatti dalla disoccupazione, che si convertono alle svariate attività di servizio per il turismo. Una storia a lieto fine, in cui la terra, gli eventi e l’animo di un popolo sono riusciti a costure il presente e il futuro di una nazione.
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Storia di un’eruzione provvidenziale
Mai l’estremo nord era stato così al centro del mondo. Già da qualche anno l’Islanda faceva notizia per la catastrofe finanziaria che aveva travolto banche e risparmi.
Ma il 20 marzo del 2010, anche la natura sembra prendere di mira quest’isola in disparte e apparentemente tanto sfortunata: un epocale rigurgito vulcanico conquista nuovamente la ribalta di testate e dei tg di tutto il pianeta. Un paese, su cui già incombe la nuvola nera della crisi, viene oscurato dall’incedere delle ceneri laviche, fuoriuscite dal cratere dell’Eyjafjallajökull che raggiungono gli strati più alti dei cieli europei.
Come dalle trame irate di una saga norrena, le divinità del Valhalla mettevano a dura prova gli umani, a cominciare dai giornalisti di tutto il mondo che si esibiscono nell’inutile tentativo di pronunciare un nome beffardo e altrettanto indomabile: Eyja che vuol dire isole; fjalla che sta per montagne e e jökull che significa ghiacciaio.
Una geniale campagna pubblicitaria concepita dalla natura: l’Eyjafjallajökull non si placa, anzi provoca il momentaneo blocco del traffico aereo su una ventina di nazioni. La cenere vulcanica potrebbe compromettere il funzionamento delle turbine dei jet di linea, come già era accaduto nel 1982 a un Boeing della British Airways sopra l’Indonesia.
A questo punto il clamore raggiunge livelli massimi, ponendo al centro della narrazione, oltre all’inesorabile vulcano, gli spostamenti in traghetto di troupe televisive e turisti.
Una luce diversa incombe sull’Islanda: non più solo paese in crisi, rappresentato da luoghi comuni quali i geyser, la luce estiva tutto il giorno o personaggi eclettici come Bjork o la band dei Sigur Rós, ma bensì una terra dove l’elemento naturale è preponderante, una meta insolita e da visitare.
Proprio in quei mesi aumentano le prenotazioni, favorite dai prezzi bassi dovuti alla svalutazione. Una grande occasione per tanti islandesi, sopraffatti dalla disoccupazione, che si convertono alle svariate attività di servizio per il turismo. Una storia a lieto fine, in cui la terra, gli eventi e l’animo di un popolo sono riusciti a costure il presente e il futuro di una nazione.