“Texas is a state of mind” – John Steinbeck
Non è un paese per vecchi e nemmeno per damerini europei che credono di aver capito tutto, magari sputando sentenze attraverso la loro bella tastierina.
Benvenuti in Texas, al di là dei tanti pregiudizi, lo stato più a parte degli Stati Uniti.
Fatevi accompagnare da Giver, per cogliere da vicino l’ossessione della frontiera che trasuda nel carattere dei texani, gente forgiata da spazi sconfinati tra deserti, pianure, foreste subtropicali, coste rigogliose, praterie e montagne.
Texas come stato d’animo, perno immaginifico che film western e road-movie ci hanno per nostra fortuna inculcato.
La realtà supererà la fantasia, quando incrocerete i veri cowboy, urbani e da rodeo, i ricconi coi macchinoni dalle corna incastrate sul radiatore, i latinos quasi sempre a piedi o in attesa del bus, e anche solo gli obesi da record in braghe corte, il tutto senza dover pagare il biglietto del cinema.
Don’t mess with Texas, ovvero da queste parti non si scherza, incipit stampato sulle magliette per i turisti che non vedrete l’ora d’indossare, quando al rientro vi batterete per uscire vivi dall’ora di punta.
“Lone star state”, una stella solitaria spicca sulla bandiera, così tanto importante. L’orgoglio di una storia travagliata e sanguinosa per l’indipendenza, sia dalla Spagna che dal Messico. Il Texas divenne una repubblica, annessa successivamente agli Stati Uniti.
Nelle gesta di David Crocket, dei tanti disperati e delinquenti di stirpe anglosassone che si sono appropriati di una terra, derubata ai nativi già dai conquistadores.
Avventurieri come Stephen Austin, colonizzatore di queste terre, quando ancora si parlava lo spagnolo. Nel nome del padre del Texas, si battezzò la capitale, adesso città universitaria, centro liberal che a primavera diventa teatro di uno dei più grandi eventi musicali al mondo: il South by Southwest (SXSW), dove anche nel più infimo dei bar ti puoi trovare al cospetto del Boss, dei Metallica, dei Fat White Family e tanti altri semidei del rock’ n’ roll in concerto su palchi minuscoli.
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“Texas is a state of mind” – John Steinbeck
Non è un paese per vecchi e nemmeno per damerini europei che credono di aver capito tutto, magari sputando sentenze attraverso la loro bella tastierina.
Benvenuti in Texas, al di là dei tanti pregiudizi, lo stato più a parte degli Stati Uniti.
Fatevi accompagnare da Giver, per cogliere da vicino l’ossessione della frontiera che trasuda nel carattere dei texani, gente forgiata da spazi sconfinati tra deserti, pianure, foreste subtropicali, coste rigogliose, praterie e montagne.
Texas come stato d’animo, perno immaginifico che film western e road-movie ci hanno per nostra fortuna inculcato.
La realtà supererà la fantasia, quando incrocerete i veri cowboy, urbani e da rodeo, i ricconi coi macchinoni dalle corna incastrate sul radiatore, i latinos quasi sempre a piedi o in attesa del bus, e anche solo gli obesi da record in braghe corte, il tutto senza dover pagare il biglietto del cinema.
Don’t mess with Texas, ovvero da queste parti non si scherza, incipit stampato sulle magliette per i turisti che non vedrete l’ora d’indossare, quando al rientro vi batterete per uscire vivi dall’ora di punta.
“Lone star state”, una stella solitaria spicca sulla bandiera, così tanto importante. L’orgoglio di una storia travagliata e sanguinosa per l’indipendenza, sia dalla Spagna che dal Messico. Il Texas divenne una repubblica, annessa successivamente agli Stati Uniti.
Nelle gesta di David Crocket, dei tanti disperati e delinquenti di stirpe anglosassone che si sono appropriati di una terra, derubata ai nativi già dai conquistadores.
Avventurieri come Stephen Austin, colonizzatore di queste terre, quando ancora si parlava lo spagnolo. Nel nome del padre del Texas, si battezzò la capitale, adesso città universitaria, centro liberal che a primavera diventa teatro di uno dei più grandi eventi musicali al mondo: il South by Southwest (SXSW), dove anche nel più infimo dei bar ti puoi trovare al cospetto del Boss, dei Metallica, dei Fat White Family e tanti altri semidei del rock’ n’ roll in concerto su palchi minuscoli.